Segui le nostre sezioni News, Corsi e F.A.Q. e sarai sempre informato sulle ultime novità del settore.
Fino agli anni 60 le scope in saggina erano praticamente gli unici attrezzi utilizzati per spazzare sia in casa che all’aperto. La scopa in saggina ha origini che si perdono nella notte dei tempi, in Italia la patria della scopa di saggina era il polesine ma si fabbricavano anche in Toscana ed in piemonte. Negli ultimi anni quasi tutte le scope di questo antico materiale arrivano invece dalla Jugoslavia. L'utilizzatore per eccellenza era un tempo la portinaia che le utilizzava per spazzare i marciapiedi, i cortili, le scale, gli androni, ecc. In base al tipo si suddividono in scope imbottite o giapponesi (la scopa da portinaia per eccellenza). Generalmente hanno da 2 a 5 file di cucitura realizzata con filo di nylon. La punta poteva essere lasciata lunga e sfrangiata (più adatta per raccogliere polveri fini) oppure essere tagliata (come in foto) per spazzare materiali pesanti. Un tempo venivano cucite a mano ma poi si passò alla cucitura meccanica realizzata con macchine infernali terribilmente rumorose e pericolose. La nostra famiglia ha origini canavesane e viene dal paese di Foglizzo dove esiste anche un piccolo museo dedicato alle scope e gestito dal comune. Questo Foglizzo era noto per le sue scope in saggina realizzate con la famosa saggina rossa che nasceva solo in questo paese e particolarmente apprezzata per le sue doti di robustezza. Veniva seminata solitamente al fondo dei campi di grano o di mais dove sarebbe difficile seminare altre cose. Verso fine settembre si raccoglieva e si portava a casa il prodotto che durante l’inverno veniva trasformato in scope. Scope che poi venivano vendute in tutto il Piemonte nella primavera successiva. La fabbricazione delle tradizionale scope di saggina è ancora oggi realizzata esclusivamente a mano (salvo per alcuni modelli fabbricati con macchine). La prima fase di fabbricazione riguarda la suddivisione della saggina in base alla lunghezza, questa operazione un tempo era fatta manualmente ma poi si utilizzarà una macchina. Poi si procede con la fabbricazione vera e propria. Nel filmato che vi proponiamo vediamo al lavoro un artigiano toscano che spiega con grande dovizia di particolari come nasceva questo antico strumento di lavoro. Una volta fabbricate le scope sono sottoposte ad un ultimo trattamento per impedire che possano essere aggredite dalle muzze. Vengono rinchiuse in stanze ermetiche per 24 ore all'interno delle quali si accende un braciere contenente zolfo. CURIOSITA' Le scope vengono anche chiamate granate in molte regioni ma soprattutto in Toscana. Delle scope di saggina sono particolarmente ghiotti i topi. Questi simpatici roditori in reltà non mangiano la saggina ma la sgranocchiano in prossimità delle cuciture rendendole inutilizzabili. Il mestiere dello scopaio era molto logorante a causa di numerosi elementi negativi tra cui: - la polvere soffocante ed urticante sviluppata durante la raccolta e la lavorazione. - il lavoro di fabbricazione che metteva a grosso rischio le dita delle mani spesso tranciate dal filo di ferro utilizzato. - l'odore acre ed opprimente sprigionato dallo zolfo. Gli operai erano solitamente pagati non a ore ma a numero di scope prodotte nell'arco della giornata lavorativa. Spesso le portinaie per aumentarne la durata rivestivano la scope con una vecchia calza di nylon. Durante l'uso specialmente in ambienti molto polverosi le scope venivamo immerse in acqua. Questa pratica le rendeva anche molto più morbide e flessibili.